Taranto
Taranto per me ha rappresentato una vera scoperta. Chi non ha mai sentito parlare di Taranto, per via dell’ILVA e dell’inquinamento? Ma non tutti sanno – ed io ero tra loro – che Taranto è una delle città più affascinanti e belle del Mediterraneo. Taranto è una città dalla storia profonda e significativa. Strategicamente situata nel cuore del Golfo omonimo, fu fondata nel VIII secolo a.C. da coloni Spartani, che la chiamarono Taras. Questa città divenne il centro più influente della Magna Grecia, superando in prestigio altre colonie greche del sud Italia e diventando il fulcro della lega italiota. Dopo un lungo conflitto durato cinque anni, Taranto fu l’ultima città della Magna Grecia a essere assoggettata a Roma, mantenendo tuttavia un significativo impatto culturale sulla regione. Una città dove ogni civiltà ha lasciato un segno tangibile, dai Greci antichi ad oggi. È la città dei segni, e questo mi fa un po’ sorridere, considerando che la Valle da cui provengo è conosciuta anche come la Valle dei Segni. Del resto, tra la mia terra natale e Taranto trovo numerose affinità, ad esempio entrambe portano i segni di civiltà antichissime ed entrambe sono state segnate dall’industria e dall’economia dell’acciaio che ha caratterizzato la seconda metà del ‘900.
Taranto, così come del resto la mia terra natale, sta ora provando a trovare nuovi modelli economici e sociali, ripartendo dalle proprie radici pre-industriali.
Anche se nel documentario le dedico pochi minuti, sono stato molte volte in questa città. In principio sono stato attratto dalla mitilicoltura, dopo aver scoperto che in passato le ostriche di Taranto erano vendute a Parigi come prodotto pregiatissimo. Sono stato accolto da una comunità estremamente vitale e fortemente ancorata alle proprie origini pre-industriali. Una delle unicità di Taranto è rappresentata dai due mari: il mar piccolo e il mar grande. Il mar piccolo è un’insenatura suddivisa in due seni: occidentale e orientale. Qui i citri, sorgenti di acqua dolce che provengono dai monti dell’entroterra, miscelandosi con l’acqua salata hanno creato le condizioni ideali per la coltivazione dei mitili: in particolare ostiche e cozze. Purtroppo l’inquinamento dell’ILVA ha messo a dura prova questa attività che prima dell’insediamento di questo enorme complesso industriale offriva lavoro ad una parte importante della comunità tarantina. Il lavoro dei mitilicoltori era organizzato in cooperative e coinvolgeva uomini e donne di tutte le età. Un anziano mi ha spiegato che prima dell’ILVA l’acqua del mar piccolo era talmente pulita che sua madre la utilizzava per fare il pane.
Non tutti sanno che dove ora c’è l’ex ILVA in passato le persone si recavano per curarsi malattie e infiammazioni delle vie respiratorie, trovando giovamento dalle tante sorgenti d’acqua che scaturivano dal terreno e dall’aria particolarmente pulita arricchita dal mare.
Sono molte le persone che ho incontrato ed intervistato a Taranto, tra queste Alessandro Marescotti che fu tra i primi a far analizzare il cibo prodotto a Taranto scoprendo e denunciando la presenza di una quantità elevatissima di diossina. Poi ho conosciuto ed intervistato Vincenzo Fornaro, l’allevatore che ha riconvertito la sua masseria alla coltivazione della canapa dopo aver subito la “mattanza” di 600 pecore contaminate dalla diossina. Anche qui un’affinità con la mia terra d’origine: quella diossina era prodotta per lo più alla Caffaro di Brescia che ha contaminato vaste aree della Provincia di Brescia. Quella stessa diossina, utilizzata per oli di raffreddamento dei trasformatori elettrici, veniva versata dai tecnici delle centrali idroelettriche anche nel fiume Oglio che passa a pochi metri dalla casa dove sono cresciuto. Tornando alle persone che ho conosciuto a Taranto c’è la professoressa Enza Tomaselli che mi ha accompagnato a conoscere la Taranto sotterranea con gli antichi frantoi ipogei: antiche cattedrali ricavate nella roccia. Come non ricordare Ida Gatto, che per pochi secondi si vede nel documentario, che mi ha fatto letteralmente da guida portandomi a conoscere luoghi e persone. Con lei ho ad esempio scoperto che il tristemente famoso quartiere Tamburi deve questo nome alla presenza di antichi acquedotti romani.
Infine il caro amico Agostino Bartoli, titolare e chef del ristorante il Gatto Rosso. Una cultura del cibo immensa, enorme passione per la sua terra ed eccezionali doti nella preparazione dei piatti che uniscono tradizione e innovazione. Tra le tante cose che Agostino mi ha spiegato c’è quella delle cozze gratinate, che raccontano l’antica economia tarantina basata su pesca, coltivazione dei mitili e agricoltura. In passato gli allevatori e pescatori si scambiavano, utilizzando il baratto, i prodotti della terra e i prodotti del mare. La cozza gratinata nasce così, dallo scambio di cozze e formaggi. Per raccontarvi tutto quello che ho visto e conosciuto a Taranto servirebbe un nuovo documentario, mi limito a ricordare ancora una cosa: la riserva Palude la Vela. Questa riserva è un concentrato di biodiversità, posta di fronte all’impianto siderurgico, in poche centinaia di metri accoglie numerose specie di animali, piante, pesci e microrganismi. Parlandone con Matteo Mazzola, lui mi ha esposto questa affascinante tesi: la natura, anche in situazioni estreme come quella rappresentata dal disastro dell’Ex-ILVA, si riorganizza e crea delle riserve. Quella palude è un simbolo della resilienza del sistema naturale.
Ovviamente ho raccolto anche dati e informazioni sul disastro ambientale del più grande impianto siderurgico d’Europa, ma di questo ne parlerò in un nuovo post.